eCommerce B2C in Italia, raggiunto il valore di 39,4 miliardi di euro

La corsa dell’eCommerce B2C in Italia non si ferma, e nemmeno la pandemia con le relative limitazioni è riuscita a mettere un freno a questo continuo aumento. Lo rivela la ventunesima edizione dell’Osservatorio eCommerce B2C, presentato dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Netcomm. “Nel 2021 gli acquisti online valgono 39,4 miliardi di euro (+21% rispetto al 2020)” ha detto Riccardo Mangiaracina, responsabile scientifico dell’Osservatorio eCommerce B2c “Da un lato gli acquisti di prodotto continuano a crescere, sebbene con un ritmo più contenuto (+18%) rispetto a quello dello scorso anno (+45%), e toccano i 30,5 miliardi di euro. Dall’altro lato gli acquisti di servizio, dopo la forte crisi del 2020 (-52%), fanno segnare una ripresa (+36%) e raggiungono gli 8,9 miliardi. Il trend di questa componente, seppur positivo, non compensa le perdite generate per via dell’emergenza sanitaria: risulta ancora significativo il divario rispetto ai valori pre-pandemia (nel 2019 gli acquisti online di servizio valevano 13,5 miliardi di euro)”.
Oggi l’eCommerce viene scelto in modo consapevole per gli acquisti quotidiani da un numero crescente di italiani” ha precisato Valentina Pontiggia, direttore dell’Osservatorio eCommerce B2c “Nel 2021 l’incidenza dell’eCommerce B2c sul totale vendite Retail, indice della maturità online, raggiunge il 10% (era il 9% nel 2020). Nella sola componente di prodotto la penetrazione passa dal 9% nel 2020 al 10% nel 2021 (+1 punto percentuale rispetto al 2020), con un incremento più contenuto rispetto a quello osservato tra 2019 e 2020 (+3 punti percentuali). Nel 2021, aumenta anche l’incidenza della componente servizio che passa dal 10% all’11%”. 

A livello europeo il valore è di 757 miliardi di euro

“La pandemia ha trasformato i comportamenti, il mindset e le preferenze dei consumatori nei confronti degli acquisti online, generando cambiamenti che sono destinati a radicarsi e permanere” ha aggiunto Roberto Liscia, Presidente di Netcomm. Se pensiamo che prima dell’emergenza sanitaria, il 70% dei rivenditori e grossisti non fosse organizzato per le vendite online, mentre nel 2020 l’e-commerce a livello europeo ha raggiunto il valore di 757 miliardi di euro, con una crescita del +10 rispetto al 2019, si comprende quanto l’emergenza sanitaria abbia segnato una vera e propria esplosione del commercio online, mettendo in luce l’importanza della trasformazione digitale che ha stimolato produttori, retailer e l’intero settore del commercio al dettaglio ad aprire nuovi canali di vendita online per adottare nuove soluzioni di commercio omnicanale”.

Verso una piena multicanalità

“Oggi l’eCommerce è portatore di nuovi equilibri e di nuove modalità di interazione e di vendita che si stanno propagando a tutto il commercio, anche fisico. Ne sono chiari esempi lo sviluppo dei pagamenti digitali e biometrici, il marketing one to one, la personalizzazione del prodotto, il cross e up selling mirato e la possibilità di disaccoppiare il momento della vendita a quello del possesso” conclude Valentina Pontiggia. “Per il nostro Paese si tratta di un segnale importante: l’eCommerce sta raggiungendo un livello di diffusione tale da far presagire un processo continuo, anche se graduale, di integrazione tra offline e online”.

A fine settembre 2021 si consolida il trend della fiducia per i consumi

Se il 2021 si è aperto con un certo pessimismo sul fronte dei consumi con l’inizio della primavera si è assistito a un’inversione di rotta. Un’inversione che ha coinciso con il rafforzamento della copertura vaccinale da una parte, e con la crescita della fiducia nelle istituzioni. Un trend di fiducia che si è ulteriormente consolidato a fine settembre, pur con zone d’ombra dovute a un certo livello di incertezza rispetto al futuro. Quanto ai canali di vendita e gli acquisti, il trend è a doppia tendenza: se da una parte cresce l’online l’incremento risulta anche da parte dei piccoli negozi di quartiere.

Si consolida l’online, ma crescono anche i piccoli negozi di quartiere 

È quanto emerge da un’indagine sui consumi 2021 realizzata da Ey, il network mondiale di servizi professionali di consulenza, e Swg, la società italiana di ricerche di mercato. Per quanto riguarda i comportamenti di acquisto, rispetto a settembre 2020 si consolida l’importanza del canale online, e al contempo si evidenzia la contemporanea crescita sia della tendenza a recarsi nei centri commerciali (+19%) sia di utilizzare i piccoli negozi di quartiere (+26%).

Le intenzioni di spesa per il prossimo semestre

I driver centrali per gli acquisti online sono la comodità e la semplicità del processo, dalla scelta dei prodotti fino alla consegna, mentre gli acquisti in store sono centrato sulla relazionalità, con la merce, le persone e il territorio. Secondo la ricerca di Ey e Swg poi nel prossimo semestre le intenzioni di spesa sembrano mostrare una crescita della propensione a rinnovare casa (30%), i mezzi di trasporto (23%) e gli investimenti di tipo finanziario (26%). Nel rapporto con il brand, invece, la percezione della eticità dei comportamenti risulta sempre più rilevante, riporta Adnkronos. 

Le aziende, i trend di consumo e le strategie di business

L’etica aziendale si esprime in primo luogo nel rispetto dei consumatori attraverso l’offerta di prodotti di qualità (46%), di prodotti al giusto prezzo (45%), e nel rispetto di dipendenti, fornitori e dell’ambiente (34%). La qualità rappresenta poi anche il principale valore per il quale si sarebbe disposti a pagare di più un prodotto (76%), seguita da sostenibilità (64%) e innovazione (61%), riferisce la Repubblica.
 “Le aziende sono chiamate a rispondere a domande chiave per trasformare le proprie strategie di business – commenta Paolo Lobetti Bodoni, EY Consulting Market Leader in Italia – e seguire i nuovi trend di consumo significa investire in una trasformazione di natura strutturale, a partire dalla ridefinizione della propria identità”.

In vendita online 3,8 miliardi di dati a 100 mila dollari

Un popolare forum per hacker ha messo in vendita online un database che conterrebbe 3,8 miliardi di dati di utenti Clubhouse e Facebook. 
Secondo il sito Cybernews, il database sarebbe formato dai dati degli utenti iscritti a Clubhouse, precedentemente violati, e da quelli dei loro contatti presenti in rubrica. Ma non solo: il database conterrebbe anche i dati dei profili Facebook associati all’account Clubhouse, e probabilmente anche quelli provenienti da un furto su Facebook già noto e risalente ad aprile 2021. Queste violazioni sono avvenute con la tecnica dello ‘scraping’, ovvero l’esfiltrazione dei dati grazie a un software utilizzato dagli hacker. La richiesta per il database contenente nomi e numeri di telefono degli utenti è di 100 mila dollari.

Pericolo campagne di phishing

Il database includerebbe dati personali, come nomi e numeri di telefono, e tra le informazioni sensibili, anche la posizione dell’utente basata sui suffissi dei numeri di telefono. Oltre a questo, includerebbe anche i contatti Facebook, utili per ricostruire, eventualmente, un potenziale network da attaccare.
Secondo gli esperti, a colpire è soprattutto l’ampiezza del database e il mix di informazioni contenute grazie ai profili Facebook. A preoccupare però è il fatto che i furti di questa entità spesso danno il via a massicce campagne di phishing.

“Si condividono troppe informazioni sui social media”

La vendita online del database da 3,8 miliardi di dati risale ai primi di settembre del 2021 ed è il frutto di due furti già noti subiti da Clubhouse nei mesi di aprile e luglio con la tecnica dello scraping.  Con lo stesso metodo, sempre lo scorso aprile, anche Facebook è stata colpita dal furto di 533 milioni di profili. “Le persone tendono a condividere troppe informazioni sui social media – spiega Mantas Sasnauskas, ricercatore del sito Cybernews – questo fornisce tante superfici di attacco per portare a termine le truffe di malintenzionati”.

Clubhouse si difende: “Non c’è stata alcuna violazione”

Grazie alla pandemia Clubhouse ha avuto un picco di popolarità la scorsa primavera, e a oggi conta circa 13 milioni di utenti in tutto il mondo.
A febbraio il Garante Privacy italiano ha fatto richiesta formale alla piattaforma di conoscere tutti i dettagli in merito al trattamento dei dati personali degli utenti, compreso quello relativo alla condivisione di informazioni della rubrica o di altre app effettuata all’interno di Clubhouse, nonché della raccolta di dati da queste ulteriori app e social. Dal canto suo, Clubhouse si difende: “Non c’è stata alcuna violazione di Clubhouse – spiega la piattaforma -. Ci sono una serie di bot che generano miliardi di numeri di telefono casuali. La privacy e la sicurezza sono della massima importanza e noi continuiamo a investire in pratiche di sicurezza”.

Dove, e come, gli italiani hanno rotto il telefono durante le vacanze?

Dove, e come, gli italiani hanno rotto lo smartphone durante le vacanze estive del 2021? A queste domande risponde WeFix Lab, che ha stilato la classifica delle regioni e delle nazioni in cui gli italiani hanno rotto più telefonini, e quali sono state le cause più frequenti. E se al primo posto tra le nazioni che hanno visto più “rotture” si piazza la Gran Bretagna, complici gli Europei di Calcio, i luoghi in cui si sono verificati più incidenti nelle città sono stati strade e piazze, protagoniste delle partite sui maxi-schermi, e gli stadi, in classifica rispettivamente in terza e sesta posizione. Ma un altro grande protagonista delle cause di rottura del telefono è stato il grande caldo, con il conseguente cedimento da parte delle batterie, che mai come quest’anno è stato il danno più comune ai dispositivi (44,16%).

Lazio, Puglia e Sardegna sul podio regionale delle ‘rotture’

In seconda posizione fra le nazioni in cui gli italiani in vacanza hanno rotto il telefonino si trova la Grecia, meta preferita in particolar modo dai lombardi, in terza la Spagna, preferita dagli abitanti del Lazio, e in quarta, la Croazia, preferita dagli abitanti del Triveneto. Quanto alle regioni italiane, al primo posto in classifica c’è il Lazio, con Roma e la provincia di Latina in testa. Al secondo, la Puglia, seguita dalla Sardegna e dalla Sicilia.

Mare, piscine e laghi: attenzione ai circuiti elettrici

Il mare, insieme a piscine e laghi, si rivela anche quest’anno il luogo più pericoloso in assoluto per gli smartphone, con il 40,3% degli incidenti. Secondo il Dipartimento Statistico di iFix-iPhone.com, il booking che seleziona i centri assistenza smartphone di zona, le cause principali di rottura dei telefoni sono state infatti le cadute accidentali e il contatto con liquidi, tra cui circa un terzo dovuti a immersione volontaria da parte degli utenti. Complice forse qualche fraintendimento pubblicitario tra “resistenza agli schizzi” e “impermeabile”, anche quest’estate, insomma, i circuiti elettrici dei telefoni ne hanno pagato le conseguenze.

I più disattenti? I giovanissimi

Per quanto riguarda la categoria di utenti che ha segnalato più incidenti al cellulare ci sono i più giovani. I più disattenti sono stati infatti i giovanissimi, nella fascia d’età 18-24 anni, i più diligenti invece gli over 50, in buona compagnia con la fascia d’età 36-44. Nessuna differenza degna di nota tra donne e uomini, che in fatto di ‘rotture’ nell’estate 2021 hanno riportato rispettivamente una quota del 48,9% per le donne e del 49,1% per gli uomini. Numerose poi le richieste di genitori che hanno contattato gli uffici iFix-iPhone.com a causa di bambini un po’ troppo “vivaci”, che hanno bloccato o distrutto lo smartphone di parenti e amici di famiglia spesso lanciandolo per terra volontariamente…

Migliorano le attese delle famiglie sull’economia. Lo conferma Bankitalia

Rispetto alla rilevazione condotta dalla Banca d’Italia tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo 2021, il saldo delle risposte relative alle prospettive generali dell’Italia, pur restando negativo, ora risulta fortemente aumentato. Secondo la quinta edizione dell’indagine straordinaria sulle famiglie italiane della Banca d’Italia, le attese delle famiglie sulla situazione economica generale e sul mercato del lavoro sono infatti migliorate. La percentuale di famiglie che si attende un peggioramento del quadro generale nei successivi dodici mesi è infatti diminuita di 8 punti percentuali, portandosi a quota 38%, il valore più basso dall’avvio della rilevazione, avvenuto nella primavera del 2020, quindi in piena crisi pandemica.

Più favorevoli anche le aspettative sul mercato del lavoro nei dodici mesi

Sempre secondo la quinta edizione della rilevazione di Bankitalia, anche le aspettative sul mercato del lavoro nei successivi dodici mesi ora sono divenute più favorevoli. Le attese sulla situazione economica familiare invece sono rimaste sostanzialmente invariate rispetto a inizio anno. Oltre il 70% dei nuclei familiari italiani per il 2021 si attende un reddito in linea con quello percepito nel 2020, mentre circa un sesto dei nuclei ritiene che entro la fine del 2021 sarà inferiore. E se i nuclei con capofamiglia lavoratore autonomo o disoccupato continuano a essere più pessimisti rispetto a quelli con capofamiglia dipendente e pensionato, il divario si sta attenuando.

Il peggioramento delle condizioni reddituali è mitigato dalle misure di sostegno

Così come nella precedente edizione dell’indagine, poi, il 30% delle famiglie italiane dichiara di aver percepito nell’ultimo mese un reddito più basso rispetto a prima dello scoppio della pandemia. Il peggioramento delle condizioni reddituali però risulta ancora mitigato dalle misure governative di sostegno al reddito. Tra i mesi di marzo e aprile del 2021, secondo le rilevazioni di Bankitalia, ne avrebbe beneficiato poco più di un quinto dei nuclei familiari.

Nel 2020 il valore delle attività finanziarie è rimasto stabile

Un ulteriore dato che emerge dall’indagine, riporta Italpress, è come la maggior parte delle famiglie italiane ritenga che il valore delle proprie attività finanziarie nel 2020 sia rimasto stabile. Un terzo delle famiglie, invece, sostiene che sia diminuito, una quota che raggiunge il 40% tra i nuclei il cui capofamiglia è occupato nei settori maggiormente colpiti dalla pandemia, come ristorazione, turismo, commercio al dettaglio, e che addirittura raddoppia tra coloro che hanno riportato una riduzione del reddito rispetto a prima dell’emergenza sanitaria.

Impostazioni privacy, ecco le più consultate dagli utenti per i servizi e le piattaforme online

Sono miliardi le persone che si collegano oggi a servizi e piattaforme on line e milioni di esse si preoccupano giustamente in merito alla propria privacy. Ecco perché è interessante scoprire quali siano le piattaforme e i servizi on line che gli utenti mettono maggiormente “sotto la lente”, controllando le impostazioni e le specifiche relative alla privacy. Come sappiamo, infatti, ogni volta che entriamo nel web lasciamo delle impronte digitali: per questo motivo la corretta configurazione delle impostazioni sulla privacy nei servizi digitali può aiutare a ridurre il numero di tracce digitali e a controllare le proprie informazioni personali. In quest’ottica, Kaspersky ha analizzato i dati anonimi forniti volontariamente da Privacy Checker, che fornisce utili suggerimenti per le impostazioni sulla privacy di vari servizi e piattaforme Internet. Kaspersky ha così “conteggiato” quante volte gli utenti abbiano aperto e controllato le istruzioni delle impostazioni di sicurezza dei principali servizi e piattaforme. Tra le impostazioni privacy più visionate, ci sono quelle di Google su Android (11,1%), del sistema operativo Android (7,3%) o di WhatsApp su Android (5,9%). Per quanto riguarda invece i social media, gli utenti controllano più frequentemente le pagine di sicurezza di Facebook su varie piattaforme (15,7%). In termini di numero di richieste di impostazioni privacy, Instagram è il secondo social network più commentato: la sua quota totale è del 9,9%. TikTok è al terzo posto con l’8,1% della quota di richieste di impostazioni di sicurezza. Considerando che i suoi utenti attivi mensili sono quattro volte quelli di Facebook, i dati mostrano che la privacy di TikTok è anche una preoccupazione per gli utenti. Anche il social network russo VK è entrato nelle ricerche globali con al 7,7%.

Come essere più “sicuri”

“La maggior parte delle azioni che svolgiamo quotidianamente sul web crea la nostra ‘impronta digitale’. Queste tracce possono includere l’indirizzo IP, commenti, foto e geotag, o dati biometrici ricavati da tali foto” ha spiegato Sergey Malenkovich, head of social media di Kaspersky. Ma come proteggere le proprie informazioni personali su tutte le piattaforme? Kaspersky fornisce qualche consiglio sempre utile: conservare i propri dati personali, come scansioni di documenti o elenchi di password, in un archivio crittografato. Un cloud storage pubblico non è abbastanza sicuro per archiviare questo genere di informazioni private; utilizzare la navigazione in modalità privata; mantenere privati il proprio indirizzo email principale e il numero di telefono personale; controllare le autorizzazioni fornite per le app mobili e le estensioni del browser. Evitare di installare estensioni del browser se non strettamente necessarie.

Lombardia, nel secondo semestre l’industria supera i livelli pre crisi

La produzione industriale lombarda è tornata ai livelli precrisi, anzi li ha addirittura superati. L’ottima notizia per il sistema imprenditoriale della Regione arriva da Unioncamere Lombardia, cha ha rivelato che nel secondo trimestre 2021 la produzione industriale lombarda cresce del +3,7% congiunturale grazie al forte rimbalzo sullo stesso periodo del 2020 (+32,5%) portando il dato ben al di sopra della media 2019 (+9,3%). Fanno da traino al recupero produttivo gli ordini sia domestici (+3,8% congiunturale) che esteri (+6,1%) che sono superiori ai livelli pre-crisi (+10,0% gli ordini interni e +19,6% quelli esteri). L’indice manifatturiero di Unioncamere Lombardia si porta così a 114,6 superando sia il livello medio 2019 sia il punto di massimo del 2008 (113,0). Diverso il discorso per le aziende artigiane, che soffrono ancora degli effetti della pandemia. Con una contrazione congiunturale del -0,5% e un aumento tendenziale più contenuto (+22,6%) il comparto sembra non aver ancora recuperato i livelli precrisi e registra un -5,6% sulla media 2019.

I settori più dinamici

Nel comparto industriale tutti i settori mettono a segno risultati con il segno più. Tra quelli più performanti si colloca la Siderurgia (+29,4% sulla media 2019) trainata dalla domanda di ferro e acciaio e dei Minerali non metalliferi (+28,6%), settori legati alle costruzioni che registrano i migliori risultati. Hanno ottenuto una crescita a due cifre anche la Chimica (+19,5%), gli Alimentari (+11,3%) e il Legno-mobilio (+10,5%), anch’esso trainato dalla ripresa del settore edile. Devono ancora recuperare quote per ritornare ai livelli ante crisi, invece, il comparto moda (Abbigliamento -7,4%, Pelli-calzature -8,1% e Tessile -8,2%) e i Mezzi di trasporto (-21,3%). Sul fronte dell’artigianato, ci sono settori che hanno pienamente ripreso e anzi superato i valori del 2019, come la Siderurgia (+16,6%) e la Meccanica (+0,6%). L’Abbigliamento segna un lieve -3,0% mentre la Gomma-plastica segna -4,8% e i Minerali non metalliferi -6,2%. I comparti che sono ancora in sofferenza e che avranno bisogno di tempi più lunghi per ritornare ai livelli pre Covid ci sono le Manifatture varie (-31,2%) e le Pelli-calzature (-40,1%).

Risalgono anche i fatturati

Analogo andamento anche per quanto riguarda il giro d’affari delle imprese lombarde. Il fatturato a prezzi correnti dell’industria cresce del 4,6% congiunturale: il confronto con la media 2019 registra un +18,3% che è legato anche agli incrementi di prezzo in atto. Per le imprese artigiane il fatturato cresce del +1,0% congiunturale e si rivela insufficiente a recuperare i livelli pre-crisi (-3,8% il confronto con la media 2019).

Quanto è importante la privacy? Meglio ottenere il Green Pass

Una nuova ricerca di Kaspersky ha analizzato quanto la privacy dei dati sia importante per gli italiani dopo la pandemia, e quali sono le preoccupazioni principali a essa associati. La ricerca si basa sulle interviste condotte su un campione di 8 mila persone di nove Paesi europei, e dalle riposte degli intervistati risulta che l’80% dei cittadini italiani rinuncerebbe alla privacy pur di acquisire maggiore libertà di accesso alle attività quotidiane. In pratica, gli italiani cederebbero le proprie informazioni personali e sensibili in accordo al Green Pass. Della stessa opinione anche la maggior parte degli europei, disposti a fornire i propri dati personali pur di non non subire più le restrizioni imposte dai lockdown.

Più trasparenza sulle politiche di raccolta e archiviazione

“Nonostante molti europei siano disposti a rinunciare ai loro dati personali in cambio di maggiore libertà, è importante che i governi nazionali siano più trasparenti sulle politiche di raccolta e archiviazione dei dati, per costruire un rapporto di fiducia con i cittadini e superare in sicurezza la pandemia”, ha dichiarato Morten Lehn, General Manager Italy di Kaspersky.
Ma cos’è il Green Pass? E perché preoccupa a livello di privacy? Il Green Pass è il certificato Covid digitale dell’Unione Europea, ovvero una prova digitale attestante che una persona è stata vaccinata contro la patologia da Covid-19, ha ottenuto un risultato negativo al test, oppure è guarita dalla patologia. Gli utenti quindi devono dare il proprio consenso al trattamento dei dati personali.

Per tornare a viaggiare all’estero vale la pena condividere i dati sanitari 

Quali sono i motivi per cui i cittadini italiani rinuncerebbero alla privacy in favore del Green Pass? Innanzitutto la possibilità di tornare a viaggiare all’estero. Questo il primo motivo che spingerebbe il 36% degli italiani a condividere i propri dati sanitari, seguito dalla possibilità di tornare a frequentare bar o ristoranti (23%), e da quella di poter tornare a partecipare a grandi eventi (24%). Ricominciare a frequentare i centri commerciali dopo la pandemia non sembra invece interessare molto i connazionali: solo il 22% degli intervistati l’ha inserita tra le motivazioni per fornire informazioni personali.

L’85% degli italiani è preoccupato per la privacy

Nonostante la disponibilità a cedere la propria privacy in cambio di tornare a viaggiare e potere ottenere una maggiore libertà, sottolinea una nota Ansa, l’Italia è tra le nazioni maggiormente preoccupate di come vengono gestiti i dati individuali. Secondo la ricerca di Kaspersky, se il 98% dichiara che la privacy è un argomento importante, solo il 63% degli italiani ritiene di avere effettivamente il controllo sulle organizzazioni che vi hanno accesso. Parallelamente, l’85% degli intervistati è preoccupato che i propri dati possano cadere nelle mani sbagliate nei prossimi due anni.  

Google Chrome: stop ai cookie di terze parti entro il 2023

Sviluppare soluzioni collaborative e open source che proteggano la privacy degli utenti senza danneggiare imprese e sviluppatori che poggiano su pubblicità e offerta di contenuti gratuiti. Questo il motivo per cui Google Chrome entro la fine del 2023 potrebbe eliminare i cookie di terze parti.  L’obiettivo dell’iniziativa lanciata nel 2019 è ottenere tecnologie principali “pronte per la distribuzione entro la fine del 2022, affinché la comunità degli sviluppatori possa iniziare ad adottarle”, spiega Google.
In seguito Google dovrebbe “eliminare gradualmente i cookie di terze parti nell’arco di un periodo di tre mesi, cominciando verso metà del 2023 e fino alla fine dell’anno”.
I tempi non sono brevissimi, perché l’obiettivo “richiede un progresso condiviso e un ritmo responsabile”.

L’equilibrio tra la protezione della privacy e il business basato sulla pubblicità

Privacy Sandbox, il sistema di profilazione di Google, sta infatti cercando un punto di equilibrio tra la protezione della privacy e i modelli di business che vivono di pubblicità anche grazie ai cookie. Si tratta di conciliare interessi avvertiti spesso come contrapposti, attraverso il coinvolgimento di sviluppatori, editori e autorità di regolamentazione. I tempi, quindi, si allungano sia per ragioni tecniche sia per l’esigenza di mediare. Google è però convinta che il progetto sarà “un vantaggio per tutti”. Trovare soluzioni alternative permetterebbe di mitigare le perdite provocate dagli ad-blocker, ricalibrare le metriche che decretano il successo di una campagna e scoraggiare la sostituzione dei cookie con “altre forme di tracciamento individuale” ancora più invasive, come il fingerprinting.

I “cookie originali” creati da un sito resteranno attivi 

Un cookie è il messaggio che compare quando entriamo su un sito, spesso approvando senza pensarci troppo. Delegare la scelta all’utente è una tutela in più, ma non ha certo limitato il potere di tracciamento. I cookie sono infatti “pezzetti” di codice che riconoscono l’utente, fornendogli una navigazione personalizzata e pubblicità su misura.
Grazie alle soluzioni di Privacy Sandbox, i cookie non saranno eliminati del tutto, ma solo quelli di terze parti, che raccolgono dati e personalizzano gli annunci durante la navigazione su pagine web diverse. Resteranno invece attivi i “cookie originali” (di prima parte), creati da un sito che personalizzano l’esperienza solo su quel sito. La differenza è notevole, perché i cookie di terze parti possono ricreare un profilo molto più dettagliato.

È già possibile bloccare i cookie tramite le impostazioni

D’altronde, riporta Agi, Chrome permette già di bloccare i cookie tramite le impostazioni. Basta aprire il browser da computer, cliccare su Impostazioni e nella sezione Privacy e sicurezza selezionare Cookie e altri dati dei siti scegliendo l’opzione Blocca cookie di terze parti. Da qui al 2023, Privacy Sandbox seguirà “un rigoroso processo di sviluppo pubblico in più fasi”, di cui la prima discuterà le tecnologie e i relativi prototipi in diversi forum, a cui seguirà una fase di test. Una volta completato il processo di sviluppo, si passerà alla fase di adozione e all’eliminazione graduale dei cookie di terze parti.

Animali domestici, è boom di adozioni. Dopo la pandemia, il 50% delle famiglie ha un pet

Più tempo passato in casa e più solitudine. Di conseguenza un maggior bisogno di compagnia, allegria e affetto incondizionato. Sono queste alcune delle motivazioni alla base del boom di adozioni di animali domestici che si è registrato negli ultimi mesi e che una recente ricerca di BVA Doxa ha misurato. 
Innanzitutto, l’indagine che ha coinvolto 1.000 persone intervistate online decreta che nel nostro Paese il 50% delle famiglie possiede un pet. Di queste, l’11% ha accolto il proprio beniamino proprio nell’ultimo anno, sull’onda quindi di una sorta di “effetto pandemia”. 

Tante buone ragioni per prendere un pet

Tra le principali motivazioni alla base delle adozioni effettuate nell’ultimo anno, ci sono innanzitutto l’allegria (36%) che i pet portano in casa, la compagnia (33%), l’affetto incondizionato che riescono a trasmettere (29%). Un altro elemento importante è poi rappresentato dalle richieste dei figli. 
Proprio grazie agli animali domestici, infatti, i figli imparano a diventare più responsabili (7%) e riescono a colmare i momenti di vuoto (21%) legati al particolare contesto della pandemia. “L’ho regalato ai miei figli/al mio compagno/a perché è stato un anno difficile” è infatti una delle risposte date all’indagine.

Il gatto “batte” il cane

In base alla ricerca di BVA Doxa, gli animali più frequentemente adottati sono innanzitutto il gatto (50%) e il seconda posizione il cane (46%). Una novità, quest’ultima, visto che tradizionalmente il primo posto era detenuto da Fido e il secondo da Micio. Nella classifica seguono a grande distanza gli uccelli, in particolare cardellini, canarini, pappagalli, e le tartarughe, che si posizionano a pari merito al 7%. Criceti e conigli conquistano il 5% mentre il pesce rosso entra a far parte del 4% delle famiglie.

Chi sono i “new pet lover”

Dalla ricerca emerge anche l’identikit dei cosiddetti “new pet lover”, che sono in prevalenza donne e do età medio giovane, con il 40% tra i 25 ed i 44 anni.
Il livello di istruzione è medio, con il 60% di diplomate alla scuola media superiore. Tra le professioni, forte è la presenza di impiegate, ma anche di insegnanti, imprenditrici o commercianti. Per quanto riguarda la distribuzione geografica, l’area maggiormente coinvolta dal boom di adozioni è il Centro Italia, con una maggiore concentrazione nel Lazio, in Toscana e in Sardegna. Solitamente, il nucleo familiare è composto da 4 persone.  
Uno degli elementi che emerge nell’identikit, poi, è l’attenzione all’igiene, che comporta anche un  cambio di abitudini. Il 28%, infatti, ha dichiarato di aver diversificato e aumentato l’utilizzo di prodotti per mantenere gli spazi igienizzati e gli animali puliti per garantire la reciproca protezione.