Italiani più attenti alla sostenibilità della spesa alimentare

Il 96% degli italiani è consapevole dello spreco alimentare globale, e ritiene importante agire come collettività per arginare il fenomeno. Ma solo il 41% ne conosce la reale entità. A conferma di questi dati, rimane stabile rispetto al 2022 anche la percentuale di chi è a conoscenza dell’impatto che lo spreco alimentare ha in termini di emissioni di gas serra (77%), mentre un elemento di novità riguarda l’elevata percezione del legame tra cambiamenti climatici e spreco alimentare. Nove italiani su 10 ritengono infatti che le sempre più frequenti calamità naturali abbiano un impatto sulle produzioni, causando perdite agricole e conseguente spreco alimentare. Emerge dalla seconda edizione dell’osservatorio commissionato a BVA-Doxa dal servizio di e-grocery 100% Made in Italy Babaco Market.

Le cause: scarsa attenzione in fase di acquisto e preparazione degli alimenti

Rispetto al 2022, poi, decresce l’attenzione nei consumi e nella preparazione dei cibi. Anche se il 78% degli italiani non butta quasi mai cibo, circa un quarto ammette di sprecarlo per scarsa attenzione.
Il 57% ha inoltre riscontrato almeno un episodio di spreco alimentare domestico nell’ultimo mese.
Le cause? Sono riconducibili alla mancanza di attenzione alla data di scadenza o al deterioramento degli alimenti (59%, +5% vs 2022), alla conservazione poco adeguata dei prodotti nei punti vendita (28%), alla tendenza a comprare troppi alimenti (16%) o in formati troppo grandi (16%), e a cucinare cibo in eccesso (14%, +5%).

Nei canali abituali il carrello è ancora poco sostenibile

Se verdura e frutta fresca si confermano le prime due tipologie di alimenti soggetti allo spreco, tra le principali azioni anti-spreco attuate dagli italiani l’indagine annovera l’interesse nei confronti degli acquisti in grado di facilitare una spesa sostenibile. In particolare, 2 italiani su 3 gradirebbero particolarmente poter fare una spesa anti-spreco e sostenibile, ma attualmente per 1 italiano su 2 questo non è facilmente fattibile presso i canali abituali. Tra gli ostacoli principali, per il 75% del campione si tratta del tempo e dello sforzo extra richiesto, oltre alla disponibilità di punti vendita, la localizzazione dei negozi, la modifica delle proprie abitudini consolidate.

La necessità di una spesa più virtuosa 

L’86% ha inoltre l’impressione che la maggior parte dei negozi della GDO non vendano prodotti prossimi alla scadenza o con confezioni/etichette rovinate, facendo sì che una grande quantità di prodotti rischi di essere sprecata. Per il 39% degli italiani una spesa alimentare più virtuosa si caratterizza per prodotti anti-spreco, eccellenze del territorio (28%), prodotti sostenibili a livello ambientale (24%) e a livello sociale (9%). E il 54% degli intervistati si dichiara molto interessato a fare la spesa online da aziende che supportano l’anti-spreco, la sostenibilità e le eccellenze del territorio.

Spid e PagoPA: cresce la diffusione, ma competenze dei cittadini ancora basse

Se sul fronte degli investimenti nel digitale l’Italia ha puntato molto su PagoPA, la piattaforma che gestisce i pagamenti verso la PA, e Spid, l’identità digitale, sul lato delle competenze il Paese non sembra correre alla stessa velocità degli strumenti messi in campo. Al contempo, il numero delle identità digitali erogate a oggi è di quasi 36 milioni, circa il quadruplo rispetto a quelle attive nell’agosto 2020, e la crescita registrata da PagoPA nell’arco del 2023 ha visto 257.495.757 transazioni effettuate, contro le 163.635.088 dell’intero 2021.  Sono alcune osservazioni sullo stato di avanzamento della trasformazione digitale emerse dall’analisi dei dati dell’Agenzia per l’Italia digitale e dell’Istat, effettuata da Centro Studi Enti Locali (Csel) per Adnkronos.

Oltre metà degli italiani non ha le competenze digitali di base

Sono quindi in atto trasformazioni importanti, ma a oggi i benefici che ne derivano vengono intercettati solo da una parte minoritaria del Paese.
“Oltre metà degli italiani con età compresa tra 16 e 74 anni non possiede neanche competenze digitali di base ed è quindi costretto ad affidarsi a intermediari per accedere ai servizi digitali messi a disposizione dalle amministrazioni pubbliche – afferma il Csel -. Anche le piccole imprese italiane sembrano non tenere il passo con le innovazioni tecnologiche che in pochi decenni hanno ridisegnato completamente il sistema economico mondiale, e nel 57,2% dei casi hanno esternalizzato la gestione delle funzioni Ict”.

Età e grado di istruzione fanno la differenza

A fare la differenza, ovviamente, sono soprattutto i fattori anagrafici e il grado di istruzione. Se nella fascia 20-24 anni chi possiede competenze digitali di base è pari al 61,7 tra 60 e 64 anni è il 32,9%. Inoltre, i due estremi sono rappresentanti dal Centro, dove il 50,9% dei cittadini con più di 16 anni e meno di 75 possiede competenze digitali almeno di base, e il Sud, dove le stesse conoscenze sono appannaggio di meno del 37% della popolazione. Ma ampia è anche la forbice tra chi risiede in un paesino con meno di 2mila abitanti (40,4%) e chi vive in una grande città (54,1%).
Tra le regioni, le due situazioni limite sono rappresentate dal Lazio (52,9%), e dalla Calabria (33,8%).

A quanto ammontano le risorse stanziate?

Nel 2022 la PA ha speso oltre 7 miliardi di euro in tecnologie riguardanti i sistemi integrati di telecomunicazione, +5,8% rispetto al 2021. Dati destinati a crescere ulteriormente nel prossimo triennio anche grazie ai fondi dedicato al digitale dal PNRR. Piattaforme e infrastrutture sono i principali ambiti in termini di spesa, rispettivamente con il 49% e il 20% del totale, seguiti da servizi (14%), dati (8%), sicurezza informatica (4%), governance (3%) e interoperabilità (2%). Tra gli ambiti principali di investimento che sosterranno la crescita nei prossimi anni rientrano la cybersecurity e la migrazione verso il cloud, che riguarderà gli enti della PA che dovranno attuare la Strategia Cloud nazionale.

Nomadi digitali, “liberi” al lavoro

Il fenomeno dei nomadi digitali, coloro che scelgono di lavorare da diversi luoghi spinti da un desiderio di indipendenza, sta rivoluzionando il mondo del lavoro e le dinamiche di reclutamento delle aziende. Questa tendenza ha aperto nuovi orizzonti, consentendo alle imprese di oltrepassare i confini geografici per trovare talenti altamente qualificati.

Superare l’approccio tradizionale alla ricerca di personale 

L’approccio tradizionale di cercare personale localmente è stato superato dalla flessibilità offerta dal nomadismo digitale. Le aziende possono ora selezionare candidati con le competenze esatte di cui hanno bisogno, indipendentemente dalla loro ubicazione geografica. Questo amplia le possibilità di reclutamento e può portare a una gestione dei talenti più efficace.
Tuttavia, è essenziale sottolineare l’importanza della sicurezza nell’era del lavoro digitale. L’uso intensivo della tecnologia da parte dei nomadi digitali richiede una vigilanza accurata e soluzioni di sicurezza robuste per proteggere le aziende dai crescenti rischi di cyberattacchi. L’approccio “se è connesso, è protetto” di Cisco sottolinea questa necessità.

Vantaggi per le persone, le aziende e… le destinazioni

Non solo le aziende e i lavoratori traggono vantaggio dal nomadismo digitale, ma anche le destinazioni verso cui si dirigono. Le autorità locali possono sfruttare questa tendenza per rinvigorire le loro economie e attirare investimenti e talenti. Ad esempio, la Grecia ha previsto di guadagnare 1,6 miliardi di euro grazie al visto per nomadi digitali, mentre piccole città come Ponga in Spagna e alcune località rurali italiane offrono incentivi finanziari per attirare nuovi residenti.
Cisco, ad esempio, ha già avviato progetti di lavoro nomade in luoghi come Venezia e Rodi, consentendo ai dipendenti di vivere e lavorare come parte integrante della comunità locale. Queste iniziative hanno trasformato la vita dei lavoratori e hanno contribuito a colmare il divario di competenze digitali nelle comunità ospitanti.

Contribuire al benessere delle comunità che accolgono

Per i nomadi digitali, c’è la gratificazione di poter contribuire positivamente alle comunità che li accolgono, riconoscendo il valore delle loro conoscenze e competenze. Diventare un nomade digitale offre l’opportunità di attrarre talenti di alto livello, mantenere alti livelli di produttività e aprire nuove prospettive sia per le aziende che per le comunità locali.
In conclusione, il nomadismo digitale sta trasformando il modo in cui lavoriamo, reclutiamo e viviamo. Offre vantaggi significativi sia per le aziende che per le destinazioni, spingendo verso una nuova era di flessibilità e opportunità nell’ambito del lavoro e della crescita economica.

Come funzionano i nuovi videomessaggi su Whatsapp?

Whatsapp sta diventando sempre più “social” e sta aggiungendo nuove funzionalità per rendere la piattaforma più dinamica e interattiva. L’ultima novità è la possibilità di inviare videomessaggi istantanei per rendere le conversazioni più vivaci e accattivanti. La popolare app di chat, di proprietà del gruppo Meta, ha iniziato a implementare questa funzione che permette agli utenti di registrare brevi video personali e condividerli direttamente nelle chat. 

Nelle prossime settimane disponibili per tutti

I videomessaggi istantanei saranno disponibili per tutti nelle prossime settimane, secondo quanto riportato in un recente post sul blog di Whatsapp.
“I messaggi vocali su WhatsApp hanno rivoluzionato il modo in cui le persone comunicano, consentendo loro di condividere la propria voce rapidamente e in sicurezza. È con grande entusiasmo che annunciamo l’evoluzione di questa funzione nei nuovi videomessaggi istantanei”, si legge nella nota della piattaforma.
I videomessaggi rappresentano un modo immediato per rispondere alle chat con qualsiasi cosa si voglia dire e mostrare, il tutto in un breve video della durata di 60 secondi. Whatsapp ritiene che questa nuova opportunità sia un modo divertente per condividere momenti con emozione, che si tratti di augurare buon compleanno, ridere di uno scherzo o dare buone notizie.

Registrare? Facile come mandare un messaggio

La registrazione e la condivisione di un messaggio video sono molto semplici: si può utilizzare la funzione di messaggio vocale esistente o toccare l’icona per cambiare e registrare il video. Tenendo premuta l’icona della videocamera, si avvia la registrazione e si può anche passare alla modalità “a mani libere”. I messaggi video, per distinguerli dai normali video, vengono visualizzati in forma circolare nelle chat.

Dati protetti

Un aspetto importante è la protezione dei dati, in quanto i messaggi video sono crittografati end-to-end, garantendo la sicurezza delle conversazioni private. Inoltre, i messaggi video vengono riprodotti automaticamente in modalità silenziosa all’interno delle chat e solo con un tocco si avvia l’audio. Rimangono nella cronologia della chat fino a quando non vengono eliminati.

Nuove funzionalità per la piattaforma

Questa è solo l’ultima delle nuove funzionalità introdotte da Meta su WhatsApp negli ultimi mesi. Tra le altre novità ci sono i canali per seguire persone e brand con più facilità, la possibilità di modificare i messaggi già inviati e la funzione che permette di utilizzare Whatsapp su più smartphone e di spostare i messaggi su un nuovo dispositivo. L’obiettivo è rendere l’esperienza degli utenti più coinvolgente e personalizzata.

Green equities, la finanza internazionale li premia più degli energetici

Nel corso dei primi due trimestri del 2023, i titoli legati agli investimenti sostenibili, noti come “green equities”, hanno ottenuto risultati migliori a livello internazionale rispetto alle azioni del settore dell’energia e delle utilities. Questa tendenza è emersa in modo costante per due trimestri consecutivi, evidenziando la forte ripresa degli investimenti finanziari nel settore green. In particolare, i titoli green hanno registrato performance positive negli Stati Uniti e in Giappone, mentre hanno ottenuto risultati meno favorevoli nel Regno Unito. Questo trend è stato evidenziato nell’ultimo rapporto del London Stock Exchange Group, che ha sottolineato il settore tecnologico come uno dei principali motori degli investimenti sostenibili.

I titoli legati all’energia segnano il passo

Al contrario, le azioni nel settore energetico hanno continuato a mostrare performance deludenti anche nel secondo trimestre del 2023. Analizzando l’andamento del mercato finanziario internazionale, si osserva che il settore tecnologico ha registrato le migliori performance, con un aumento del circa 15%. È stato seguito dal settore dei beni e dei servizi non essenziali (consumer discretionary), mentre i titoli finanziari si sono classificati al terzo posto. 

Utilities e telecomunicazioni in calo

Al contrario, i settori delle utilities, dell’energia e delle telecomunicazioni hanno registrato performance inferiori, con quest’ultime in territorio negativo. Questo è stato attribuito all’aumento dei tassi di interesse, alle preoccupazioni legate al debito degli Stati Uniti, alla debolezza della ripresa economica cinese e ai tagli alla produzione di petrolio dei paesi dell’OPEC.

Crescono gli investimenti sostenibili 

Nonostante questi ostacoli, diversi paesi, in particolare gli Stati Uniti, hanno superato ampiamente le difficoltà degli ultimi sei mesi, registrando una crescita delle performance negli investimenti sostenibili in un contesto macroeconomico generalmente debole. Ciò ha portato ad un aumento delle valutazioni assolute e dei premi per i titoli green, in particolare per gli investimenti ecosostenibili (EO) e per i benchmark allineati con l’accordo di Parigi sul clima (PAB).

L’attenzione alla transizione green

Nonostante una certa cautela da parte degli investitori, i flussi di fondi destinati agli investimenti sostenibili nel secondo trimestre del 2023 hanno dimostrato che i capitali derivanti dall’emissione di titoli verdi e dal supporto dei governi all’energia pulita sono rimasti solidi. In particolare, il sostegno da parte delle istituzioni governative per la transizione verso un’economia green nel periodo post-pandemico è quasi triplicato tra novembre 2021 e aprile 2023.

Mercato digitale: l’Italia apre un nuovo ciclo all’innovazione 

Secondo i dati della pubblicazione annuale sull’andamento del digitale in Italia, condotta in collaborazione con NetConsulting cube, nel 2022 il mercato digitale consolida una crescita del 2,4%, con un valore complessivo di 77,1 miliardi di euro. L’aumento più rilevante riguarda i Servizi ICT (+8,5%, 14,8 miliardi), sostenuto principalmente dai servizi di Cloud Computing e Cybersecurity. Andamenti particolarmente positivi anche nel segmento Contenuti e Pubblicità Digitali (+6,3%, 14,5 miliardi) e in quello del Software e Soluzioni ICT (+6,2%, 8,6 miliardi). Il mercato relativo a Dispositivi e Sistemi invece subisce un calo dell’1%, e prosegue il trend negativo dei Servizi di Rete TLC (-2,7%).

Il disegno di un’industria completamente diversa

La trasformazione digitale si conferma una leva economica significativa, e il suo ruolo nella ripresa economica del Paese è e sarà sostanziale.
“La combinazione di più tecnologie digitali e una maggiore velocità dell’innovazione rispetto al passato sta disegnando un’industria completamente diversa, che vedrà filiere e Supply Chain sempre più connesse e circolari – commenta Marco Gay, Presidente di Anitec-Assinform -. Fondamentale è il ruolo abilitante dei Digital Enabler nel trasformare produzione e processi, creare nuovi modelli di business, sfide competitive, come pure nuovi mercati. Non a caso stiamo assistendo a dinamiche a doppia cifra nella crescita di Digital Enabler e Transformer: dal Cloud Computing alle piattaforme di Cybersecurity alle soluzioni di Big Data management”.

Il progresso sarà trainato da Digital Enabler e Transformer

Se il progresso del mercato digitale è in parte frenato dalle componenti tecnologiche più mature, sarà invece trainato dai prodotti e servizi più innovativi, ovvero Digital Enabler e Transformer, il cui incremento medio annuo nel periodo 2022-2026 dovrebbe attestarsi sul 12,8%.
“Se la tendenza positiva del mercato digitale è chiara – prosegue Marco Gay – permangono tuttavia criticità, prima fra tutte la carenza di competenze digitali e l’eterogeneità nella diffusione delle tecnologie tra classi dimensionali di impresa e tra territori”. Nel 2022 l’incremento degli investimenti nel digitale per le piccole imprese è del 2,5%, del 4,1% per le medie e del 5,9% per le grandi, a conferma della correlazione tra dimensioni aziendali e spesa digitale. 

Sì al PNRR, ma serve una politica industriale che promuova la competitività

L’utilizzo delle risorse stanziate dal PNRR, insieme al contesto economico internazionale, rappresentano due fattori significativi che influenzeranno l’immediato futuro del mercato digitale. Le stime relative ai tre anni successivi (2024-2025-2026) sono orientate a una crescita ancora più sostenuta, e si basano sull’ipotesi di un minore impatto dell’inflazione e su un maggiore impiego delle risorse economiche messe a disposizione dal PNRR per la digitalizzazione.
Si prevede pertanto una crescita media annua del mercato digitale del 4,5% nel periodo 2022-2026, fino a raggiungere quasi 92 miliardi di euro nel 2026.
“Un uso efficiente dei fondi messi a disposizione dal PNRR è il primo passo in questa direzione – aggiunge Gay – ma c’è bisogno di una politica industriale che promuova la competitività delle imprese, che aumenti la loro produttività e rafforzi la collaborazione all’interno della filiera”. 

Per la prima volta, le donazioni digitali superano quelle “cash”

Per la prima volta, le donazioni effettuate tramite pagamento digitale superano quelle in contanti. Secondo la nona edizione dello studio “Donare 3.0” condotto da BVA Doxa, PayPal Italia e Rete del Dono, l’85% dei Millennials e dei membri della Generazione Z ha donato almeno una volta negli ultimi 12 mesi. Questo conferma una crescente propensione alla donazione da parte delle generazioni più giovani, che sono inclini a fare regali solidali e sostenere più cause benefiche.

Predominanza del digitale anche in questo settore

La predominanza del digitale nelle donazioni è evidente. Nel corso del 2021, si è registrato un avvicinamento tra le donazioni in contanti e quelle tramite strumenti digitali, con il 37% delle donazioni effettuate in contanti e il 35% tramite pagamenti digitali. Tuttavia, nel 2022 si è verificata una svolta, con il 38% delle donazioni in contanti e il 42% effettuate tramite pagamento digitale. Riguardo agli importi donati negli ultimi dodici mesi, il 42% degli intervistati ha donato più di 50 euro, mentre il 43% ha donato tra i 10 e i 50 euro nello stesso periodo. Un’altra tendenza in crescita è l’uso dei dispositivi mobili per effettuare donazioni, che ha coinvolto il 61% degli intervistati nel 2022, rispetto al 65% che ha utilizzato una postazione fissa. PayPal conferma di essere lo strumento preferito per il 70% degli intervistati per i pagamenti online, seguito dalla carta di credito al 62%.

L’atteggiamento dei giovani verso la donazione si consolida

I donatori online mostrano un trend di crescita positivo anno dopo anno, soprattutto i Millennials e la Generazione Z, con l’85% di loro che ha effettuato almeno una donazione nel 2022. Il 38% degli intervistati ha dichiarato di donare ad associazioni suggerite da persone di fiducia, soprattutto tra i Millennials e la Generazione Z. Inoltre, circa la metà dei donatori (51%) rimane molto fedele alle associazioni a cui dona. Tra le due generazioni citate, emerge una forte preferenza (61%) per il dono di oggetti materiali. È anche evidente la propensione a sostenere più di una causa benefica, con il 64% degli intervistati che ha donato a più di due associazioni. Inoltre, il volontariato coinvolge attivamente il 33% dei soggetti intervistati.

Il 55% dona per la salute e la ricerca

La salute e la ricerca sono la principale causa per cui si decide di donare, con il 55% delle preferenze degli intervistati. C’è anche un crescente interesse verso l’assistenza sociale, lo sport, l’arte e la cultura. In particolare, la cultura rivela un’attenzione elevata verso i progetti legati al patrimonio culturale italiano e al territorio.

Pmi e innovazione: più investimenti, ma ancora poca “cultura”

Nel 2022 le Pmi italiane aumentano gli investimenti in digitale rispetto al 2021, ma rimane un forte divario culturale. Se il 43% delle Pmi dichiara di essere ‘avanti nel processo di digitalizzazione’ o di ‘puntare sempre di più sul digitale’, il 35% stenta a riconoscere alla digitalizzazione un ruolo centrale all’interno del loro settore economico di riferimento. Segno di una mancata consapevolezza delle opportunità offerte dalla trasformazione digitale. Sono alcuni dati presentati dall’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi della School of Management del Politecnico di Milano.

Si investe poco nelle competenze

Il 51% delle Pmi non svolge attività in azienda per sviluppare e potenziare le competenze digitali, e solo l’8% punta a integrare nell’organico figure Stem o di alta formazione. Un divario che ha ripercussioni dirette sulla digitalizzazione dei processi, spesso portata avanti con strumenti non avanzati. Ad esempio, le attività di marketing e lead generation sono composte da attività tradizionali, come azioni sul campo dei venditori e fiere di settore (48%), o al massimo pubblicità online (30%).
A mancare è spesso la raccolta ed elaborazione dei dati raccolti mediante CRM, adottata solo dal 42% delle Pmi. Carente è anche la digitalizzazione dell’area risorse umane, dove principalmente si utilizzano applicativi rivolti alla gestione di presenze, turni e orari lavorativi.

Integrazione dei processi e cybersecurity

A livello di integrazione di processi/funzioni aziendali il 40% delle imprese ha introdotto un software ERP (Enterprise Resource Planning), ma rimane elevato il numero di quelle che non conoscono o non sono interessate a introdurre questa tecnologia. A livello di processi direzionali, imprenditore e vertice strategico sono i principali promotori della digitalizzazione, ma spesso le scelte di business non sono guidate da una valutazione di performance attraverso dati raccolti in azienda. Quanto alle tecnologie trasversali, c’è attenzione verso la cybersecurity, ma emerge il divario tra imprese che adottano solo soluzioni di base (96%) o anche avanzate (28%). Rispetto poi alla collaborazione con hub territoriali di innovazione esterni, una Pmi su 4 lo fa, segno che tali strutture hanno ancora possibilità di espansione nell’efficacia e nella portata della loro attività.

Accesso a risorse e progetti

Le iniziative realizzate in Italia a favore della digitalizzazione delle imprese mostrano un’assenza di focalizzazione esclusiva verso le Pmi, soprattutto a livello nazionale. Solo 2 progetti su 10 sono esclusivamente indirizzati alle Pmi e di questi 2 su 3 sono rivolti indiscriminatamente a tutte le imprese, senza considerarne il settore o la filiera come fattore discriminante. A livello regionale, invece, le misure mirate e a specifici settori o distretti risultano più frequenti. Per quanto riguarda la ricerca di risorse finanziarie, in generale le Pmi faticano a intercettare tempestivamente i bandi ai quali potrebbero aderire, e qualora siano in grado di accedervi, hanno difficoltà a impostare una programmazione di medio-lungo termine. Una criticità che enfatizza l’assenza di una strategia digitale a favore di un approccio estemporaneo dettato da contingenze esterne e disponibilità di fondi.

Giornata mondiale dell’ambiente: scatta l’allarme per gli eventi climatici estremi

Dall’inizio del 2023 gli eventi climatici estremi in Italia sono aumentati del +135% rispetto all’anno precedente. Da gennaio a maggio si sono registrati 122 eventi estremi, contro i 52 dello stesso periodo del 2022. In particolare, gli allagamenti da piogge intense (30 contro 16 dei primi 5 mesi del 2022, +87,5%). E sono sei le regioni più colpite da eventi climatici estremi: Emilia-Romagna (36), Sicilia (15), Piemonte (10), Lazio (8), Lombardia (8), Toscana (8). 
È quanto denuncia Legambiente, che in occasione della giornata mondiale dell’ambiente ha diffuso i nuovi dati del suo Osservatorio Città Clima.

Servono politiche climatiche più ambiziose e interventi concreti

Per aiutare l’ambiente e contrastare la crisi climatica servono politiche climatiche più ambiziose, accompagnate da interventi concreti a livello nazionale ed europeo.
L’Italia deve quindi accelerare, sia approvando il Piano di adattamento climatico di cui è ancora sprovvista sia prevedendo risorse adeguate. Inoltre, deve aggiornare entro fine giugno il PNIEC, e approvare una legge attesa da 11 anni contro il consumo di suolo. Sono le tre azioni prioritarie su cui l’Italia a oggi è in forte ritardo, mentre a livello europeo è importante definire un Patto di solidarietà per il clima tra Paesi industrializzati, emergenti e in via di sviluppo, per raggiungere zero emissioni nette entro il 2050 a livello globale.

Riparare gli errori del passato 

“La fotografia scattata dal nostro Osservatorio Città Clima sugli eventi climatici estremi parla chiaro – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente -, bisogna invertire al più presto la rotta. L’alluvione che ha colpito nelle scorse settimane l’Emilia-Romagna e le Marche, ma anche le violente piogge che si sono abbattute in questi ultimi giorni in Sardegna e in altre regioni d’Italia, sono l’ennesima dimostrazione di quanto la crisi climatica stia accelerando il passo causando ingenti danni all’ambiente, all’economia del Paese, e perdite di vite umane. Al Governo Meloni chiediamo un’assunzione di responsabilità perché per affrontare il tema della crisi climatica serve una decisa volontà politica con interventi concreti non più rimandabili per riparare gli errori del passato, come ad esempio tombare i fiumi, costruire in aree non idonee o in prossimità dei corsi d’acqua”.

Attuare politiche territoriali di prevenzione e campagne informative di convivenza con il rischio

“Ora bisogna voltare pagina – continua Stefano Ciafani – e i primi strumenti per farlo sono proprio il piano di adattamento al clima e le risorse per attuarlo, l’aggiornamento del PNIEC, una legge contro il consumo di suolo. Senza dimenticare che il Paese ha bisogno di più politiche territoriali di prevenzione e campagne informative di convivenza con il rischio. Solo così si potrà evitare che l’ultima tragedia sia la penultima e che il Paese rincorra sempre l’emergenza”.

Il terziario in Italia è donna, e prevale il tempo indeterminato

Lo rivela un’indagine dell’Ufficio Studi di Confcommercio: in Italia il terziario è donna. Su 100 donne che lavorano alle dipendenze a tempo indeterminato 75 sono occupate nel terziario di mercato, mentre su 100 occupati dipendenti nell’industria e nelle banche solo 27 sono donne.
Il terziario comprende le società del commercio, alberghi, pubblici servizi, comunicazioni, credito, assicurazioni, consulenze, trasporti e servizi per l’impresa. E su 100 dipendenti nei servizi 51 sono donne. Inoltre, a prevalere è il contratto a tempo indeterminato. Su 100 donne dipendenti nel terziario di mercato oltre 65 hanno infatti un contratto a tempo indeterminato.

Occupazione femminile pari al 43,6%

L’indagine mostra però che il tasso di occupazione delle donne in Italia è pari al 43,6%, contro una media europea del 54,1%. Se il tasso di disoccupazione femminile in Italia (11,1%) venisse portato al valore europeo (7,2%), si avrebbero 433mila donne occupate in più.
Nel confronto tra le macro aree italiane, il tasso di occupazione delle donne al Sud è pari al 28,9% contro il 52% del Nord. Secondo l’analisi, la crescita economica, che poi alimenta anche i processi sociali di inclusione e una vita democratica ragionevolmente soddisfacente, dipende dal lavoro, anzi, proprio da quanti lavorano. E quanti lavorano dipende dalla demografia.

Migliorare i tassi di partecipazione

L’indicazione è puntare a migliorare i tassi di occupazione e i tassi di partecipazione, cioè accrescere la quota di quanti lavorano tra quelli che vogliono lavorare, e accrescere la quota di quelli che vogliono lavorare tra quanti possono farlo. Se si equalizzasse al benchmark il nostro tasso di occupazione femminile otterremmo quasi 1,9 milioni di occupati, anzi, di occupate in più.
È necessario quindi puntare ad accrescere il tasso di partecipazione femminile. Altro problema tutto italiano è la questione meridionale. Nella partecipazione femminile il Sud si trova oltre 22 punti indietro rispetto al benchmark europeo.

Crisi demografica: le donne lavoratrici fanno più figli 

Secondo la ricerca, per risolvere, o almeno per mitigare, la crisi demografica bisogna mettere le donne nella condizione di scegliere liberamente se lavorare o meno, perché l’evidenza internazionale dice senza ambiguità che più le donne partecipano al mercato del lavoro più fanno figli.
Spostare il tasso di partecipazione femminile dal nostro 49% al 60% della media europea, o al 65% della Germania, non garantirebbe di avere mediamente più figli per donna, ma aprirebbe una potenzialità, come suggerito dal comportamento degli altri Paesi. Con questo tasso di partecipazione, riferisce Agi, ci sarebbe la possibilità di raggiungere non solo l’Olanda e altre nazioni che si collocano solo poco sopra di noi, ma anche il tasso di fertilità dei tedeschi o dei danesi.