Gender gap: poche donne italiane per ingegneria e ITC

Le donne italiane continuano a essere sottorappresentate in ambito STEM, soprattutto nei campi dell’ingegneria (6,6% donne vs 24,6% uomini) e ITC (1,7% donne, 8,2% uomini). Ma i dati sono negativi anche per quanto riguarda la copertura di posizioni apicali: solo il 15% di ceo è donna.
Insomma, anche nel 2022, a livello globale, su 146 paesi l’Italia resta al 63° posto nell’indice del World Economic Forum relativo al gender gap,, il Gender Gap Report 2022. Il rapporto considera le differenze di genere in 4 ambiti, partecipazione economica e opportunità, livello di istruzione, salute e sopravvivenza, ed empowerment politico. E in pratica, l’Italia resta sotto la media europea di circa il 6%, piazzandosi tra i tre paesi peggiori per partecipazione economica e opportunità. 

Laureati in materie STEM: in Europa le donne sono il 33%

L’Europa fatica ad attrarre le ragazze nell’istruzione e nei lavori STEM. Nonostante superino gli uomini come studenti e laureati a livello di laurea e master, solo il 33% dei laureati in materie STEM in Europa è di sesso femminile. E si stima che entro il 2027 le donne rappresenteranno solo il 21% dei posti di lavoro nel settore tecnologico (fonte McKinsey & Company). Non si tratta solo di un numero inferiore di donne che entrano in un settore altrimenti stabile, ma si prevede anche che entro il 2027 il deficit di talenti tecnologici in Europa raggiungerà quasi i 4 milioni. Le aziende che si affidano alle competenze STEM dovrebbero quindi investire di più per rivolgersi ai gruppi sottorappresentati, altrimenti scoraggiati dal perseguire una carriera nel settore. 

“La dissonanza inizia nei contesti educativi”

“La tecnologia si sta innovando a un ritmo disarmante, con nuove soluzioni in campi come il cloud computing, l’Intelligenza artificiale generativa e l’informatica – sostiene Mariagrazia Perego, 3M Diversity & Inclusion Advocate -. Per comprendere l’attuale deficit di donne nelle carriere STEM, dobbiamo analizzare le ragioni per cui le donne e le ragazze rinunciano a entrare nel settore. In definitiva – osserva Perego -, la dissonanza inizia nei contesti educativi, dove le ragazze non sono incoraggiate a seguire le materie scientifiche, né sono circondate da modelli di ruolo femminili. Se l’attività STEM viene scoraggiata a livello scolastico, è chiaro che non verrà considerata un’opzione di carriera valida”.

Ma il numero di curricula femminili per ruoli tecnici è triplicato

Secondo i dati segnalati dal gruppo italiano Fortitude, riporta Ansa, il numero di curriculum femminili in ambito scientifico arrivati nel corso del 2022 è triplicato rispetto all’anno precedente, passando dal 10% al 30% del totale. Anche facendo riferimento ai ruoli più tecnici, si è passati dal 2% al 15%.
“Il gender gap rimane un problema importante – dichiara Leo Pillon, ceo del Gruppo Fortitude -, in particolare per il nostro settore, e ormai da qualche anno ci stiamo impegnando tanto, anche grazie alla collaborazione con l’organizzazione no profit SheTech, che si impegna a colmare il gender gap nel settore delle STEM per portare un vero cambiamento”.

L’Italia più contactless: aumentano i pagamenti senza contatto

Dal 2020 il trend dei pagamenti senza contatto non si è mai arrestato, e nel 2022 vede una nuova crescita in tutto il Paese. Considerando la totalità dei pagamenti digitali, dall’analisi dell’Osservatorio Pagamenti Contactless 2023 di SumUp emerge come i pagamenti in cui vengono utilizzate carte o app contactless costituiscono il 78,1%, + 9% rispetto al 2021. L’indice di crescita indica la predisposizione di commercianti ed esercenti verso pagamenti contactless con carte, smartphone e smartwatch, che consentono di pagare più velocemente e snellire le operazioni di cassa. Altro elemento di incentivo, oltre alla diffusione sempre maggiore dei device, è l’aumento della soglia per i pagamenti contactless senza pin a 50 euro (dal 1° gennaio 2021) confermata nel 2022.

I settori a crescita maggiore

Nel 2022 una maggiore predisposizione per il contactless riguarda gli esercenti legati alla ristorazione e alla vendita al dettaglio. Le percentuali più alte di pagamenti contactless si registrano in bar e club, dove l’84,6% dei pagamenti avviene con carta, seguiti da edicole (82,7%), supermercati, alimentari, panifici, pasticcerie (82,4%), caffè e ristoranti (81,8%). Meno coinvolti dal trend del contactless sono hotel e strutture ricettive, dove la percentuale di pagamenti resta la più bassa (55%).  A registrare la crescita dei pagamenti contactless più importante rispetto all’anno precedente sono nuovi settori, con in testa servizi legali e agenti immobiliari (+17%), seguiti da medici e dentisti (+15%), veterinari (+14%), estetisti, parrucchieri e barbieri (+13%). 

Sud e Isole in testa

A crescere nel 2022 in merito al contactless sono tutte le province italiane, anche se nell’uso della tecnologia senza contatto nel campo dei pagamenti con carte, smartphone e smartwatch spiccano soprattutto le province del Sud Italia e delle Isole. In testa Ragusa, con l’81,5% dei pagamenti contactless, seguita da Reggio Calabria (81%), e Caserta (80,9%). Quanto alle province che registrano la crescita più alta nell’uso del contactless in testa alla classifica si trovano le province del Nord Italia. Al primo posto Vicenza, con una crescita del +20% rispetto al 2021, seguita da Verona (+18%), e a pari merito, le province di Modena, Bolzano e Asti (+17%). 

Si abbassa lo scontrino medio

In Italia lo scontrino medio contactless tende a diminuire anno su anno a partire dal 2019, dimostrando come consumatori e commercianti siano sempre più disposti ad affidare anche cifre piccole alle transazioni contactless. Nel 2022 il valore medio dello scontrino contactless è di 35,2 euro, in progressiva diminuzione dai 44,9 euro del 2019. Gli esercenti che registrano gli scontrini medi più bassi sono bar e club (circa 14 euro), confermando come sia ormai abitudine diffusa pagare con smartphone o smartwatch anche il caffè al bancone. Tra gli scontrini più piccoli, anche quelli di tabaccherie (19,2 euro), edicole (20,5 euro), food truck e fast food (20,7 euro), a riprova che le transazioni contactless non solo richiedono molto meno tempo rispetto al pagamento in contanti, ma risultano anche più comode. 

Il mercato dei viaggi italiano riparte con l’online

L’eCommerce guida il recupero del mercato del Turismo italiano: il comparto dell’ospitalità nel 2022 supera l’ultima rilevazione pre-pandemia (16,4 miliardi di euro contro 14,6) mentre quello dei trasporti è prossimo al pareggio (11,2 miliardi di euro contro 12). Lo segnala la nona edizione dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo della School of Management del Politecnico di Milano.

Il ruolo del digitale nella ripresa

In sintesi, il digitale è stato un volano fondamentale per la ripresa del comparto, che ritorna quasi ai valori prepandemia.
“Il 2022 si è confermato come l’anno della ripresa e la crisi che il Travel si è trovato ad affrontare negli ultimi anni, sebbene particolarmente violenta, sembra volgere al termine. Dopo un primo trimestre ancora incerto, abbiamo rilevato un’inversione di rotta più decisa, trainata dall’eCommerce, che a partire dalla scorsa estate si è fatta sempre più consistente”, dichiara Filippo Renga, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo. “Il digitale è stato capace di riportare alcuni comparti di questa industria ai valori pre-pandemia, confermandosi un’asse portante e ricordandoci come la digitalizzazione del journey resti una priorità trasversale alle aziende di tutta la filiera. Nell’ospitalità l’eCommerce incide, infatti, per il 51% sulle transazioni, superando nettamente il 44% del 2019, ma il dato più sorprendente riguarda i trasporti, dove l’incidenza è salita al 68%, partendo da un 55% nel 2019. Inoltre, le agenzie di viaggio stanno investendo nella digitalizzazione della relazione e anche le strutture ricettive si stanno adoperando in questo senso”.

Il viaggio digitale secondo gli italiani

Guardando al comportamento dei turisti italiani, grazie a un’indagine realizzata in collaborazione con BVA Doxa, emerge con evidenza la crescente digitalizzazione del journey anche lato domanda. Il canale online prevale per l’ispirazione: il 56% dei viaggiatori dichiara di aver usato solo canali online (motori di ricerca in oltre un caso su due, seguiti da siti di recensione, aggregatori e comparatori di alloggi e trasporti e, infine, sito dei fornitori dell’alloggio). Anche in fase di prenotazione l’online la fa da padrone: per l’alloggio la quota di chi ha utilizzato esclusivamente canali online raggiunge il 59%, mentre nei trasporti il 63%. Inoltre, il 22% dei viaggiatori si rivolge all’agenzia o consulente di viaggio per acquisire informazioni o prenotare la vacanza.  Continua a crescere anche il numero di viaggiatori che ha acquistato tramite eCommerce prodotti legati alla località visitata e che rappresenta il 33% del totale, contro il 12% del 2019 e il 9% del 2018. Anche l’offerta si sta adeguando alla crescente richiesta di esperienze neverending, ossia esperienze turistiche estese nel tempo e nello spazio: il 12% delle strutture ricettive offre ai propri clienti la possibilità di acquistare prodotti della destinazione (enogastronomici, di artigianato etc.) tramite eCommerce. 

Cambiamento climatico: per i top manager italiani va affrontato nel 2023

Il cambiamento climatico è una priorità assoluta per le organizzazioni, tanto da essere in cima all’agenda dei vertici aziendali italiani. Dal 52% dei CxO italiani la necessità d’interventi rapidi e mirati è infatti la questione più urgente da affrontare nel 2023, e il 63% ritiene che nei prossimi tre anni il cambiamento climatico impatterà strategie e attività aziendali. Per questo, le organizzazioni italiane stanno aumentando il proprio impegno. Rispetto alla media globale del 75%, 8 leader italiani su 10 hanno già accresciuto gli investimenti legati alla sostenibilità. Emerge dal CxO sustainability report 2023 – accelerating the green transition, l’indagine svolta da Deloitte in 24 Paesi ai CxO dei principali settori industriali, presentata in occasione del World economic forum di Davos.

Più materiali sostenibili e tecnologie pulite

In Italia le imprese stanno affrontando la sfida del cambiamento climatico soprattutto con azioni quali un maggiore utilizzo di materiali sostenibili (71% vs 59% globale) e l’adozione di tecnologie pulite (64% vs 54%).
“Essere parte attiva della transizione verso un’economia a basse emissioni rappresenta una scelta ineludibile, volta ad assicurare la continuità e la competitività delle imprese – sottolinea Stefano Pareglio, presidente di Deloitte climate & sustainability -: significa, in pratica, orientare l’evoluzione del modello di business in un’ottica di medio-lungo periodo. Dalla ricerca emerge come questa consapevolezza sia diffusa nei livelli apicali del management aziendale, anche più di quanto ci si potrebbe attendere in ragione del contesto geopolitico e dello stato degli accordi internazionali sulla lotta al cambiamento climatico”.

Le barriere alla transizione ecologica

Per conseguire una trasformazione significativa sono necessarie anche altre azioni, quali lo sviluppo di nuovi prodotti o servizi rispettosi dell’ambiente (66% vs 49% globale), la costituzione di un ecosistema di partner fondato su criteri di sostenibilità (61% vs 44%) e la realizzazione di interventi volti a rendere più sicure le strutture aziendali in caso di eventi climatici estremi (50% vs 43%).
Si registrano però alcune barriere che ostacolano la transizione ecologica. In particolare, costi elevati delle iniziative (25% vs 19%), focus ancora orientato al breve termine (21% vs 18%), e mancanza di sostegno da parte delle istituzioni (21% vs 12%).

Un fattore competitivo importante e distintivo

Diventare attori attivi nella transizione verso un’economia a basse emissioni può trasformarsi in un fattore competitivo importante e distintivo, in grado di garantire diversi benefici anche nel rapporto con i vari stakeholder. Secondo i CxO italiani, riporta Adnkronos, questa scelta consente di migliorare la riconoscibilità e la reputazione del proprio brand (70% vs 52%), il morale e il benessere dei dipendenti (54% vs 42%) e i ritorni per gli investitori (46% vs 31%). Meno considerati a livello nazionale e internazionale, i benefici di natura finanziaria di cui potrebbero avvantaggiarsi le imprese nel lungo periodo, soprattutto in termini di valore delle attività (21% vs 25%), il costo dell’investimento (14% vs 24%) o i ricavi (11% vs 23%).

Una passeggiata nei boschi efficace contro ansia e depressione 

Lo rivela una nuova ricerca dell’Università norvegese di scienza e tecnologia (NTNU) guidata dal professor Simone Grassini, neuroscienziato e professore associato di psicologia all’Università di Stavanger: dopo una passeggiata nei boschi i pensieri scorrono un po’ più calmi, le spalle si abbassano, il cuore smette di battere forte. Insomma, chi soffre di ansia e depressione trae beneficio dal contatto con la natura.  La depressione è un fenomeno comune, così come l’ansia, e spesso questi due disturbi si verificano insieme. Nel 2020 in tutto il mondo 264 milioni di persone hanno sofferto di depressione. In particolare, in Norvegia, il numero di adolescenti e giovani adulti con depressione e ansia è raddoppiato. Il 44% delle ragazze adolescenti norvegesi ora lotta con lo stress e i pensieri pesanti. E circa una persona su dieci sperimenterà ansia o depressione nel corso di un anno. 

Un metodo efficace per combattere qualcosa con cui lottano molte persone 

Il professor Grassini ha selezionato gli studi in cui i ricercatori includevano un gruppo che faceva passeggiate nei boschi e un gruppo di controllo che non faceva passeggiate nei boschi. Tutti, in entrambi i gruppi, hanno lottato con ansia e depressione. Sono stati selezionati sei studi, e tutti dicono tutti la stessa cosa: una passeggiata nei boschi è efficace contro l’ansia e la depressione.
 “Queste passeggiate sono un metodo efficace e semplice per qualcosa con cui molte persone lottano”, spiega Grassini.

Anche brevi esposizioni a immagini e video aiutano

Studi di laboratorio dimostrano che anche brevi esposizioni a immagini e video della natura portano a un cambiamento dell’attività cerebrale correlata al rilassamento e al benessere.  Altre ricerche che dimostrano poi che l’esercizio stesso ha un effetto positivo sull’esperienza del benessere.
“Studi condotti all’aperto hanno dimostrato che anche una breve esposizione a un ambiente forestale porta a una minore attività nel centro della paura del cervello”, aggiunge Grassini.

Il potere curativo della natura

Sebbene il potere curativo della natura non sia stato analizzato con metodi scientifici, è qualcosa su cui molti filosofi hanno riflettuto. Solveig Be, professore di filosofia alla NTNU sottolinea che anche gli esseri umani fanno parte della natura. “Se torniamo abbastanza indietro nella nostra storia evolutiva biologica, siamo imparentati con tutto ciò che vive e ha vissuto”.
Questo spiega, secondo il filosofo, perché stare nella natura sembra significativo. Può aiutarci a renderci conto che c’è qualcosa di più importante di ciò su cui andiamo in giro a meditare nel nostro cuore, riferisce Agi. 
“Fuori negli spazi verdi, circondati dal canto degli uccelli, dal suono dell’acqua che scorre, dall’odore della vegetazione, capiamo di essere parte di qualcosa di più grande – afferma Be -. Può farci bene e aiutarci a dimenticare noi stessi per un po’”. 

In Italia sono 1.402.000 i liberi professionisti

L’Italia si conferma il Paese con il maggior numero di liberi professionisti in Europa: negli ultimi 10 anni registra infatti una crescita costante, frenata solo dalla pandemia, che tra il 2018 e il 2021 ha causato la chiusura di circa 24mila attività professionali. Con 1.402.000 unità i liberi professionisti rappresentano il 28,5% del lavoro indipendente in Italia, segnando una crescita ininterrotta dal 2010, a parte la battuta d’arresto tra il 2018 e il 2021, che ha determinato una contrazione del 2%.
L’emergenza Covid si fa sentire soprattutto sui liberi professionisti con dipendenti, dove negli ultimi quattro anni si è registrata una flessione di quasi il 13%, soprattutto nel Nord Ovest e nel Centro.
È quanto emerge dal VII Rapporto sulle libere professioni in Italia – anno 2022, curato dall’Osservatorio libere professioni di Confprofessioni.

Una riconfigurazione strutturale dell’occupazione indipendente

In questo ambito, tuttavia, si registrano saldi occupazionali sempre positivi tra i dipendenti degli studi: nel 2021 si contano oltre 41mila attivazioni nette, contro le 29mila del 2019. La progressiva crescita del comparto libero professionale e la parallela contrazione del lavoro autonomo hanno portato a una riconfigurazione strutturale dell’universo dell’occupazione indipendente in Italia. Se nel 2009 i liberi professionisti valevano solo il 20% del lavoro indipendente, oggi il loro peso sale al 28,5%.
In questo ambito i settori economici più dinamici sono quelli legati alle professioni scientifiche e tecniche e all’area sanità e istruzione

I saldi occupazionali si mantengono in positivo

L’onda lunga dell’emergenza Covid e l’incertezza di un quadro economico complesso ridisegnano geografia e caratteristiche demografiche della popolazione professionale in Italia. A farne le spese sono soprattutto i professionisti datori di lavoro, che calano di quasi il 13%, soprattutto nel Nord Ovest e il Centro. Tuttavia, i saldi occupazionali si mantengono in positivo, trainati dalla crescita dei contratti a tempo indeterminato. Se la crisi colpisce soprattutto le regioni del Centro (-3,7%) e del Nord (-2,8%), nel Mezzogiorno si assiste a un aumento del 2,6% del numero di professionisti, trainato dal balzo in avanti delle donne, che nello stesso periodo registrano un incremento del 4,6%.

Calano i redditi dei professionisti iscritti alle casse di previdenza private

In calo risultano anche i redditi dei professionisti iscritti alle casse di previdenza private (-2%), con punte che arrivano fino al 6% tra avvocati, periti industriali e architetti, riporta Italpress, In controtendenza, i consulenti del lavoro che vedono incrementare i loro redditi del 26,5%. Nelle professioni ordinistiche permane tuttavia un ampio divario reddituale di genere. Ancor più preoccupanti le prospettive del mercato del lavoro negli studi professionali che non riescono più ad attrarre neolaureati. 

Perchè per la sopravvivenza delle imprese è fondamentale la crescita professionale? 

Con l’inflazione in aumento e la prospettiva di una flessione macroeconomica molte aziende sono costrette a entrare in ‘modalità sopravvivenza’, tagliando i budget e la pianificazione a lungo termine per affrontare le priorità e gli aspetti critici di breve termine. Nei periodi di incertezza economica vengono sacrificati i progetti di Learning & Development, spesso considerati non essenziali. Ma è proprio in queste fasi che la fidelizzazione dei dipendenti diventa cruciale. Mentre alcuni lavoratori mirano a un aumento di stipendio per far fronte al carovita, sono in molti a rivalutare le proprie priorità, cercando, ad esempio, maggiore flessibilità e altre opportunità di crescita, aspetti che hanno causato il fenomeno della Great Resignation.

Trattenere il personale è la via principale per gestire la crisi

Quando i dipendenti non si sentono valorizzati, decidono di abbandonare l’attuale posto di lavoro alla ricerca di chi è maggiormente disposto a investire su di loro. In questa situazione, in cui si registra una crescente carenza di talenti in molti settori, “trattenere il personale e ridurre quindi il tasso di abbandono dei dipendenti è la via principale per gestire gli scenari di crisi da parte delle aziende – commenta Claudio Tadoldi, Regional Sales Director di Docebo -.

Formare l’attuale personale risulta per le aziende decisamente più conveniente e strategico che ricercare e assumere nuove risorse, come riportato, ad esempio, dal recente report della Financial Services Skills Commission (FSSC), che per il settore dei servizi finanziari stima un risparmio medio di quasi 50.000 euro per dipendente.

I programmi di upskilling e reskilling favoriscono la mobilità interna

Inoltre, investire nell’aggiornamento professionale garantisce che il personale si senta valorizzato e possa contare su ottime competenze per lavorare in modo produttivo, contribuendo alla crescita dell’organizzazione. Questo, a sua volta, rende i lavoratori in grado di individuare nuovi trend e opportunità, e di adattarsi alle nuove pressioni sul posto di lavoro. Un aspetto decisamente importante nel caso i team siano alla ricerca di metodologie per essere più efficienti, e ottenere maggiori risultati con meno risorse. L’implementazione di programmi efficaci di upskilling e reskilling può favorire la mobilità interna, promuovendo opportunità di carriera laterali e in ascesa, con un effetto positivo sulla cultura aziendale e un miglioramento nella fidelizzazione del personale.

Non solo competenze tecniche

I migliori programmi di upskilling non riguardano solo le competenze tecniche, ma considerano il contributo dei dipendenti in una prospettiva olistica-multidisciplinare. Le aziende di successo riconoscono il valore di una forza lavoro con un’ampia gamma di competenze, comprese quelle interpersonali. Resilienza, curiosità, empatia, capacità gestionali e comunicative giocano in tandem con le competenze tecniche per creare una cultura aziendale in cui la dinamica di gruppo sia positiva, i problemi complessi risolvibili, e la produttività sia elevata, ma senza sovraccarichi.
I team di grandi dimensioni vengono gestiti in modo strategico, e il personale ha maggiori probabilità di essere tutelato, in quanto si sente responsabilizzato e coinvolto.

Energie rinnovabili, gli italiani vorrebbero il solare

L’82% degli italiani reputa necessario accelerare la transizione EcoDigital, anche con misure drastiche, per raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici che le Nazioni Unite e l’UE chiedono ai rispettivi Stati membri. Il 71% ritiene assolutamente prioritario contenere l’aumento delle temperature entro i 2 gradi. Si conferma la necessità che i grandi impianti solari siano dislocati sulla copertura di grandi edifici come centri commerciali e stazioni ferroviarie (44%, +5%), oppure a terra ma solo in aree agricole senza valore naturalistico (22%). L’84% (+6%) ritiene importante per l’Italia incentivare l’eolico offshore e il 58% lo giudica positivo a patto che si rispetti la fauna marina, che si salvaguardino le rotte degli uccelli migratori e che si sostenga l’economia locale. È questa la fotografia che emerge dal 20° Rapporto “Gli italiani, le rinnovabili e la Green&Blue economy” con focus su “Indipendenza energetica e cambiamenti climatici” realizzato dalla Fondazione UniVerde e da Noto Sondaggi.

Energie sicure, sostenibili e meno costose

Il 91% (+2%) ha la certezza che passare al solare oggi sia più sicuro. La maggioranza degli intervistati dichiara di aver preso in considerazione l’idea di prodursi energia da un impianto solare se si facilitasse l’autoconsumo e si eliminassero burocrazia e ostacoli. Il 63% lo ritiene ancora tecnicamente complesso e il 67% caro da sostenere e gestire. Rispetto all’energia prodotta da combustibili fossili, quella solare (87%, +2%) ed eolica (77%) vengono giudicate più compatibili con l’ambiente e meno costose (19% e 20%). In particolare, l’eolico viene considerato più sicuro (79%). I sostenitori del nucleare si attestano al 20%, quelli del gas all’11% mentre carbone e petrolio rispettivamente al 4% e 3%. Sono stati inoltre presentati i dati relativi all’efficienza energetica delle abitazioni. Tra gli interventi che vengono considerati prioritari figurano l’installazione di: impianto fotovoltaico (22%, +2% rispetto alle precedenti due rilevazioni), pannelli solari per acqua calda (18%, +7%), doppi vetri (12%), sistemi di accumulo per rinnovabili (12%, +5% a confronto con il precedente Rapporto) e per il risparmio dell’acqua (4%).

Italia, l’innovazione dovrebbe essere verso l’idrogeno verde

In merito alla transizione energetica, si mantiene stabile il campione (44%) a conoscenza che l’UE punta sull’idrogeno verde come elemento essenziale, e per il 73% sarebbe importante per l’Italia incentivare questa innovazione. Il 40% ritiene che l’Italia raggiungerà l’obiettivo del 55% di energia da fonti rinnovabili ma oltre il target fissato al 2030.

Logistica: nel 2022 il mercato vale 92 miliardi di euro 

A fine 2022 il mercato della logistica conto terzi in Italia raggiungerà 91,8 miliardi di euro, +2,8% sul 2021. Il settore però deve affrontare forti aumenti dei costi operativi, scarsità di capacità operativa nel trasporto e nei magazzini, rallentamenti nelle supply chain internazionali e criticità a reperire energia e combustibili. L’inflazione inoltre porta una variazione negativa del fatturato in termini reali del -5,2%. Nel 2020, l’ultimo anno con dati disponibili a consuntivo, il valore del fatturato diretto ai soli clienti era di 50,7 miliardi di euro, pari al 43,6% del valore totale della logistica in Italia (116,4 miliardi).  Lo evidenzia la ricerca dell’Osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet” del Politecnico di Milano.

L’aumento dei costi

Nel 2021 la logistica ha assistito al forte aumento dei costi dei fattori produttivi, in particolare per energia e carburanti, ma la vera ‘emergenza’ è arrivata nel 2022, con i costi per l’energia elettrica più che raddoppiati (+117%), mettendo in difficoltà le Supply Chain più energivore. Il Transport Index elaborato dall’Osservatorio per monitorare l’andamento mensile del mercato, ed differenziato per modalità di acquisto Contract o Spot, evidenzia per l’ambito Contract un grande aumento dei costi di trasporto, con due impennate a marzo 2022 (+5,1% rispetto a gennaio) e giugno (+8,7%), e il picco a luglio (+9,2%). Aumenti dovuti soprattutto alla componente Fuel, ma anche alle condizioni di mercato e alla mancanza di equilibrio tra domanda-offerta. L’andamento della curva di acquisto Spot ha valori ancora più elevati.

Il trasporto

Il trasporto è l’area in cui la mancanza di capacità è avvertita in modo più significativo. Nel corso del 2022 il 96% delle aziende ne ha modificato l’impostazione, lavorando sulla relazione mittente-destinatario-fornitore di servizi logistici in quattro direzioni (contratti, pianificazione, visibilità, processi) declinate in modo diverso a seconda della modalità e della tipologia di servizio di trasporto. Ad esempio, nella pianificazione dei flussi, per il 59% delle aziende è aumentata la consapevolezza della ‘capacità finita’ del trasporto e della necessità di introduzione del livello tattico di pianificazione, con estensione dei vincoli legati alla ‘capacità finita’ della logistica nel Sales and Operations Planning (S&OP).

Logistica 4.0

Nell’ambito Logistica 4.0 le aziende si stanno concentrando principalmente su soluzioni per la raccolta e la gestione di informazioni digitali. Il 72% delle aziende ha realizzato almeno un progetto in questo ambito, tra tablet ai varchi di accesso, sistemi RFId o sensori che raccolgono dati in modo automatico inviandoli a un sistema informativo, o ancora, API per scambiare dati tra sistemi informativi diversi, e blockchain per notarizzare i dati raccolti consentendo la certificazione delle informazioni. Si rileva poi una buona diffusione dei progetti di Automation (32%) per gestire le attività: magazzini dotati di sensoristica avanzata o soluzioni basate su flotte di mobile robot per la movimentazione dei materiali. Quanto ai progetti di Analytics (14%), nei casi più avanzati consentono di aggregare/organizzare moli di dati, produrre previsioni con AI o simulazioni basate su dati real-time, e applicare concetti di digital twin al processo logistico per valutare diversi scenari

Gli italiani sono favorevoli al “tetto” al contante?

Il tema dell’abolizione del tetto ai pagamenti in denaro contante è un argomento molto discusso. Ma cosa ne pensano gli italiani? Lo ha chiesto Facile.it tramite un sondaggio condotto insieme agli istituti di ricerca mUp Research e Norstat. E dalle risposte degli intervistati emerge che il 62% dei nostri connazionali è favorevole al tetto, con il 24,2% degli stessi che indica nella cifra di 2.000 euro il punto dove porre il limite. La ricerca è stata svolta tra il 2 e il 4 novembre 2022 attraverso la somministrazione di 1.018 interviste CAWI a un campione di individui in età compresa fra 18 e 74 anni, rappresentativo della popolazione italiana adulta residente sull’intero territorio nazionale

Ma c’è chi è contrario e chi non ne sa nulla

A essere favorevoli al tetto sono principalmente gli italiani con età compresa fra 25 e 34 anni, il 64,2%, quelli con più di 65 anni, il 63,8%, coloro in possesso di un titolo di studio elevato, il 65%, e i residenti in comuni con un numero di abitanti compreso fra 10.000 e 30.000 (64%). Quanto a chi è contrario a porre un limite ai pagamenti in denaro contante, si tratta soprattutto individui con età compresa fra 55 e 64 anni (44,7%), chi possiede un titolo di studio fino al primo grado di istruzione (46,9%), i residenti nel Nord Est (38,5%, e 44,7% nel solo Veneto) e in comuni più piccoli, quelli con un massimo di 10.000 abitanti (38,9%). Una percentuale abbastanza rilevante, pari al 3,4% degli intervistati, ovvero 1.506.000 individui, dichiara però di non avere la più vaga idea di cosa sia il tetto ai pagamenti in denaro contante.

Le soglie: 1.000, 2.000 o 5.000 euro?

Si è discusso molto anche sull’entità del limite da imporre ai pagamenti. E Facile.it ha chiesto agli intervistati del campione a quale cifra porrebbero il limite ai pagamenti in denaro contante se fossero loro a scegliere. A questa domanda quasi un intervistato su 4 tra chi è favorevole (il 24,2%), indica come soglia ideale 2.000 euro, secondo il 22,1%, la cifra “giusta” è pari a 5.000 euro, e per il 19,6% il tetto massimo corrisponde addirittura a solo 1.000 euro.

Una misura utile alla lotta all’evasione?

Fra i sostenitori del tetto al limite di pagamento in contanti molti sostengono che si tratta di una misura utile anche al contrasto dell’evasione fiscale, e secondo quanto emerso dall’indagine, la pensano allo stesso modo il 56,2% degli intervistati. Mentre quasi uno su 3, pari al il 32,3%, ritiene questa azione non adatta a questo scopo.